Siete sorpresi nel leggere questa
affermazione ? Fate bene, è falsa. Dopo un primo istante di smarrimento
chiunque avrà capito come il titolo di questo articolo (e solo il titolo, non
il contenuto....) sia una burla, un "pesce d'aprile" un pò tardivo.
Fonte: adiantum.it
Ma lo scherzo che l'ISTAT si è
prestato a fare, su commissione del Ministro delle Pari Opportunità di allora
(in collaborazione con i centri antiviolenza....), non è stato per niente un
pesce d'aprile, ma la scientifica preparazione del terreno per l'emanazione
delle leggi "ad interesse femminile", prima tra tutte quella sullo
stalking.
Peccato che mentre "...l'Italia si è dotata, finalmente, di una
legge che protegge le donne dagli atti persecutori..."
(Ex Ministro Mara Carfagna, al TG2), chi l'ha concepita non ha
calcolato che almeno il 25% delle vittime di stalking sono uomini (per
ammissione della stessa Carfagna, sempre al TG2 - dati Ministero Interno). Ma
questa è un'altra storia, non usciamo fuori tema.
L'ISTAT, dicevamo.
"Se vuoi influenzare la pubblica opinione,
devi spararla grossa", diceva l'"innominabile" del ventennio (quello
fascista, non quello berlusconiano, che è altra cosa), "...ma devi sparare bene". E
così ha fatto il nazionale istituto di statistica, ammantando di scientificità
e precisione i dati che hanno sancito una delle più grandi azioni di
disinformazione che mai si siano viste in Italia proprio dalla fine del
fascismo.
I dati di cui vi parleremo,
infatti, hanno procreato una selva di false informazioni sulla violenza degli
uomini che, pressappoco, si sintetizzano così: la prima causa di morte delle donne in
Italia è per mano maschile.
Niente di più falso. Colpisce ma
i dubbi superano l'enormità dell'affermazione: i tumori e le malattie
cardiovascolari, dove le mettiamo ? Rapportando quell'assunto ai dati relativi
alla mortalità (meno di 1.000 omicidi annui di donne contro 100.000 decessi
femminili per malattie varie) ci si farebbe una risata, ma qui la cosa è seria.
Questo falso dato, peraltro ripreso da autorevoli giornaliste di importanti
testate ("Repubblica delle donne", in primis), è il naturale "portato
popolare" dello studio di cui vi parliamo, spacciato anch'esso come serio
ma impossibile da bollare come risibile, a prima vista, se non dopo una attenta
analisi.
"Il bello è che la ricerca sarà costata
almeno un milione di euro ai contribuenti", spiega Fabio Nestola, cioè
colui che ha esaminato minuziosamente tutte le note metodologiche dell'ISTAT
(misteriosamente sparite dal sito ma ben conservate dalla FeNBi per futuri
utilizzi) ed ha smascherato le "carenze" che hanno finito con il
falsare i dati sulla violenza in famiglia. Leggiamo le sue considerazioni nel
dettaglio.
"La violenza domestica, afferma
Nestola, costituisce una
tipologia di reato in costante espansione, complesso da analizzare in quanto la
tendenza degli autori a contenere gli episodi entro le mura domestiche incontra
frequentemente la connivenza più o meno passiva delle stesse vittime. Siamo
pertanto in presenza di un fenomeno sommerso, del quale non è facile tracciare
i contorni.
Una conoscenza approfondita del fenomeno nel suo insieme,
tuttavia, è essenziale per lo sviluppo delle politiche e dei servizi necessari,
a partire dalle campagne di sensibilizzazione per arrivare alle contromisure
legislative finalizzate a prevenire e/o contenere la violenza.
Va rilevato come inchieste, sondaggi e ricerche che
analizzano la violenza di cui è vittima la figura femminile vengono proposte
con continuità a livello istituzionale e mediatico, da diversi decenni.
Di
contro, non esistono in Italia studi ufficiali a ruoli invertiti; vale a dire
approfondimenti sulla violenza agita da soggetti di genere femminile ai danni
dei propri mariti o ex mariti, partners ed ex partners, parenti a affini di
vario grado.
Questa curiosa e pluridecennale lacuna può avere origine da
due presupposti:
1.
aggressività e violenza femminile non esistono
2.
se esistono, sono legittimate; pertanto non è interesse della
collettività studiare alcuna misura di prevenzione e contenimento.
Entrambi i
presupposti sono, evidentemente, paradossali.
L’indagine sulla violenza in famiglia subita dalle donne,
pubblicata dall'ISTAT, prevede diverse batterie di domande relative alla
violenza fisica, sessuale, psicologica ed economica. Da un campione di 25.000
interviste, trasportato in dimensione nazionale, risulta una proiezione di
circa 7.000.000 di donne che subiscono violenza dal proprio partner o ex
partner.
Dati allarmanti, che vengono propagandati con continuità.
Analizzando con cura il questionario somministrato
dall’ISTAT, viene però da chiedersi se detto questionario non sia stato
elaborato con il preciso obiettivo di far emergere dati numericamente
impressionanti, sui quali costruire un allarme sociale.
Il questionario è stato studiato in collaborazione con le
operatrici dei centri antiviolenza[1],
per cui era difficile immaginare che ne sarebbero potuti uscire dati non
faziosi. L’impatto sull’opinione pubblica, infatti, è generato dal dato
conclusivo – 7.000.000 di vittime – senza approfondire da cosa scaturisca
questo dato.
Oltre ai quesiti su violenza fisica (7 domande) e sessuale
(8 domande).), il questionario ISTAT lascia uno spazio ben maggiore alla
violenza psicologica (24 domande).
Alcuni dei quesiti, però, sembrano finalizzati a raccogliere
un numero enorme di risposte positive, descrivendo normali episodi di
conversazione sicuramente accaduti a chiunque, che risulta difficile
configurare come “violenza alle donne”. Ad esempio:
- l'ha mai criticata per il suo aspetto ?
- per come si veste o si pettina ?
- per come cucina ?
- controlla come e quanto spende ?
Ai fini statistici non c’è differenza fra un atteggiamento
aggressivo e denigratorio ed un consiglio pacato, collaborativo, spesso
indispensabile, a volte anche migliorativo.
“cucini da schifo, ti ammazzo di botte se non fai un arrosto
decente” è sicuramente
violenza, ma lo diventa anche “cara, oggi il risotto non è
venuto bene come la volta scorsa”.....
Oppure: “con quei capelli sembri una
puttana, ti spacco la faccia se non li tagli” è sicuramente violenza, ma lo diventa anche “questo
taglio non ti dona, magari fra due giorni mi abituerò, ma ti preferivo con la
pettinatura precedente”.
Oppure ancora: “non ti do una lira, se vuoi i
soldi per la profumeria vai a prostituirti” è sicuramente violenza, ma lo diventa anche “non ce la
facciamo, mettiamo via i soldi per il mutuo, purtroppo questo mese niente
palestra per me e parrucchiere per te”.
L’intervistata risponde affermativamente, quindi le
intervistatrici possono spuntare la voce “violenza”, senza che
l’intervistata lo sappia.
Infatti la domanda non comporta le diciture esplicite
“aggressività, violenza, umiliazione”; si limita a chiedere se un episodio è
accaduto, poi è l’intervistatrice che lo configura come violento anche se
l’ignara intervistata non lo percepisce affatto come tale.
L’ISTAT, infatti, per giustificare l’equivoco sul quale è
costruito il questionario, ammette che le intervistate spesso non hanno la
percezione di aver subito violenza. A tale scopo aggiunge alle note
metodologiche questa dicitura: Le domande tendono a descrivere episodi, esempi,
eventi di vittimizzazione in cui l’intervistata si può riconoscere. La scelta
metodologica condivisa anche nelle ricerche condotte a livello internazionale è
stata dunque quella di non parlare di “violenza fisica” o “violenza sessuale”,
ma di descrivere concretamente atti e/o comportamenti in modo di rendere più
facile alle donne aprirsi.
Il dettaglio e la minuziosità con cui si chiede alle donne
se hanno subito violenza [2],
presentando loro diverse possibili situazioni, luoghi e autori della violenza,
rappresenta una scelta strategica per aiutare le vittime a ricordare eventi
subiti anche molto indietro nel tempo e diminuire in tal modo una possibile
sottostima del fenomeno. Sottostima che può essere determinata anche dal fatto
che a volte le donne non riescono a riconoscersi come vittime e non hanno
maturato una consapevolezza riguardo alle violenze subite, mentre possono più
facilmente riconoscere singoli fatti ed episodi effettivamente accaduti.
Presentando il rapporto, poi, l’ISTAT scrive: Le forme di violenza
psicologica rilevano
le denigrazioni, il controllo dei comportamenti, le strategie di isolamento, le
intimidazioni, le limitazioni economiche subite da parte del partner.
Anche frasi innocue come “la
frittata oggi è un po’ sciapa”, oppure “ti preferivo senza permanente” vengono classificate come denigrazioni,
quindi diventano una forma di violenza alle donne.
Ecco come nascono 7.000.000 di
vittime.
[1]V. Note Metodologiche ISTAT
[2]E’falso. Non si chiede alle donne se hanno subito violenza, si chiede se è mai accaduto un determinato episodio, la voce “violenza” viene spuntata dall’altra parte del filo
Fonte: adiantum.it
Nessun commento:
Posta un commento